ANCHE L'OVVIO E' IN BILICO (CARLOS)

venerdì 5 giugno 2009

IL DISCORSO DEL PRESIDENTE OBAMA AL CAIRO

«È il momento di un nuovo inizio
Come dice il Corano, Dio ci guarda»

«Il "sogno americano" è vivo anche per i sette milioni
di musulmani che vivono nel nostro Paese»

Sono onorato di trovarmi nell’antichis­sima città del Cairo, ospite di due illu­stri istituzioni. Da un millennio Al-Azhar rappresenta un faro di cultu­ra islamica e da oltre un secolo l’uni­versità del Cairo è fonte e stimolo di progresso per l’intero Egitto. Insieme, queste due istitu­zioni incarnano un sodalizio tra sviluppo e tra­dizione. Vi ringrazio della vostra ospitalità, e dell’accoglienza del popolo egiziano. Sono inoltre fiero di portare con me la buona volon­tà del popolo americano e un saluto di pace da parte delle comunità musulmane del mio pae­se: Assalaamu alaykum! («Che la pace sia con voi», ndr).
Il nostro incontro avviene in un periodo di tensione tra gli Stati Uniti e i musulmani del mondo intero, una tensione generata da forze storiche che travalicano l’attuale dibattito poli­tico. Le relazioni tra Islam e Occidente si basa­no su secoli di coesistenza e cooperazione, ma anche su conflitti e guerre di religione. In tem­pi recenti, le tensioni sono state attizzate dal colonialismo, che negava diritti legittimi e op­portunità a molti musulmani, e dalla Guerra fredda, nel corso della quale i Paesi a maggio­ranza musulmana troppo spesso sono stati trattati come semplici pedine, senza tener con­to delle loro aspirazioni. Inoltre, i cambiamen­ti profondi avviati dalla modernizzazione e dal­la globalizzazione hanno spinto non pochi mu­sulmani a vedere nell’Occidente un nemico delle tradizioni dell’Islam. La violenza estremista ha sfruttato queste tensioni all’interno di piccole ma potenti mi­noranze musulmane. Gli attacchi dell’11 set­tembre del 2001, e le ripetute azioni sanguino­se di questi estremisti contro la popolazione civile, hanno spinto una parte del mio paese a considerare l’Islam come inesorabilmente osti­le non solo all’America e ai paesi occidentali, ma anche ai diritti umani. Di qui sono scaturi­te nuove paure e diffidenze.
Fintanto che i nostri rapporti saranno fonda­ti su divergenze, daremo mano libera a coloro che vogliono seminare odio, anziché pace. (...) Sono venuto qui da voi per gettare le basi di un nuovo inizio tra gli Stati Uniti e i musulma­ni di tutto il mondo; un nuovo rapporto fonda­to sul reciproco rispetto e su interessi comuni; e basato su questa verità, che l’America e l’Islam non si escludono a vicenda e non sono in competizione. Anzi, i nostri paesi hanno in comune molti principi, i principi della giusti­zia e del progresso, della tolleranza e della di­gnità di tutti gli esseri umani. Voglio afferma­re questa verità, pur sapendo che i cambia­menti non avvengono dall’oggi al domani(...) Occorre fare uno sforzo sostenuto per ascol­tarci a vicenda; per imparare gli uni dagli altri; per rispettarci e cercare un terreno d’intesa. Come dice il Corano «Dio ti guarda, di’ sempre la verità». Sono cristiano, ma mio padre veni­va da una famiglia kenyota che vanta genera­zioni di musulmani. Da bambino, negli anni passati in Indonesia, ascoltavo l’invocazione dell’azaan all’alba e al tramonto. Da giovane, ho lavorato nelle comunità di Chicago dove molti avevano trovato pace e dignità nella fede islamica. Lo studio della storia mi ha insegna­to quanto è grande il debito della nostra civiltà verso l’Islam (...)
Ho conosciuto l’Islam in tre continenti pri­ma di metter piede nella regione che ne è stata la culla. E l’esperienza mi dice che la collabora­zione tra l’America e l’Islam dovrà essere impo­stata su quello che l'Islam è, non su quello che non è. Sarà mia responsabilità, quale presiden­te degli Stati Uniti, combattere gli stereotipi negativi dell’Islam dovunque essi si manifesti­no. Lo stesso principio, tuttavia, dovrà ispirare la percezione dell'America tra i musulmani. Proprio come i musulmani mal si attagliano a un vile stereotipo, l’America non incarna il vile stereotipo di un impero egoista (...) Ha fatto molto discutere il fatto che un afro-americano, di nome Barack Hussein Oba­ma, sia stato eletto presidente. Ma la mia sto­ria personale non è poi così eccezionale. Se il sogno americano non si è avverato per tutti in America, quella promessa esiste sempre per coloro che approdano ai nostri lidi, compresi i quasi sette milioni di musulmani americani che oggi vivono nel nostro Paese e possono vantare un reddito e un’istruzione superiori al­la media. Inoltre, la libertà in America è inscin­dibile dalla libertà di praticare la propria fede religiosa.
Per questo motivo c’è una moschea in ogni stato della nostra Unione, per un totale di oltre 1.200 luoghi di culto musulmani. E il governo americano è arrivato fino alla Corte Suprema per proteggere i diritti di donne e ra­gazze che vogliono portare l’hijab, condannan­do coloro che vorrebbero negarlo. Infine, è ve­nuto il momento di spazzar via ogni dubbio: l’Islam fa parte dell’America. Animato da que­sto spirito, desidero perciò esprimermi con semplicità e chiarezza su specifiche questioni che dovremo finalmente affrontare insieme. Il primo argomento è la violenza estremista in tutte le sue forme. Ad Ankara ho ribadito che l’America non è — e non sarà mai — in guerra con l’Islam. Siamo pronti tuttavia a combattere senza mezzi termini gli estremisti che mettono a repentaglio la nostra sicurezza. Perché anche noi respingiamo quello che tut­te le religioni respingono: l’uccisione di uomi­ni, donne e bambini innocenti. E il mio primo dovere, come Presidente, è proteggere il popo­lo americano.
La situazione in Afghanistan dimostra quali sono gli obiettivi dell’America e la necessità di lavorare assieme. Più di sette anni fa, gli Stati Uniti sono intervenuti contro Al Qaeda e i Tale­bani con un forte appoggio internazionale. Non siamo andati in Afghanistan per nostra scelta, ma per necessità. So bene che alcuni mettono in dubbio o addirittura giustificano gli eventi dell’11 settembre. Ma lo ripeto con fermezza: quel giorno Al Qaeda ha ucciso qua­si tremilapersone. Nonvoglioesserefrainte­so: non abbiamo alcuna intenzione di mante­nere le nostre truppe in Afghanistan. Non vo­gliamo insediare basi militari. L’America vive nell’angoscia di veder cadere i suoi ragazzi. (...) Saremmo felicissimi di riportare a casa tut­ti i nostri soldati se fossimo certi che in Afgha­nistan e in Pakistan non ci sono più estremisti decisi a sterminare quanti più americani possi­bile. Ma le cose non stanno ancora così. È per questo motivo che siamo affiancati da una coa­lizione di 46 Paesi. E malgrado gli ingenti co­sti, l’impegno americano non verrà meno.
Vorrei toccare anche il tema dell’Iraq. A dif­ferenza dell’Afghanistan, la guerra in Iraq è sta­ta una scelta che ha scatenato fortissime pole­miche nel mio Paese e in tutto il mondo. Seb­bene sia convinto che, tutto sommato, gli ira­cheni non rimpiangono affatto la tirannia di Saddam Hussein, credo tuttavia che gli eventi in Iraq abbiano fatto capire all’America che per risolvere i nostri problemi occorre rivolger­si alla diplomazia e costruire il consenso inter­nazionale laddove possibile (...) Ho esplicita­mente proibito l’uso della tortura negli Stati Uniti e ordinato la chiusura della prigione di Guantánamo nei primi mesi del prossimo an­no. (...) La seconda, importante causa di tensione da discutere è la situazione tra israeliani, palesti­nesi e il mondo arabo. I forti legami che uni­scono l’America e Israele sono ben noti. È un nodo indissolubile, fondato su vincoli storici e culturali e sulla consapevolezza che l’aspirazio­ne a una patria ebraica affonda le radici in eventi tragici e incontestabili. Il popolo ebrai­co è stato perseguitato per secoli in tutto il mondo e in Europa l’antisemitismo è sfociato in un Olocausto senza precedenti.
Sei milioni di ebrei sono stati sterminati, più dell’intera popolazione di Israele ai nostri giorni. Negare questi fatti è un atto di viltà, di ignoranza e di odio. D’altro canto, è innegabile che il popolo palestinese — cristiani e musulma­ni — abbia sofferto a sua volta alla ricerca di una patria. Da più di ses­sant’anni non conosce la tutela di uno Stato. I palestinesi sono sog­getti a umiliazioni quotidiane — grandi e piccole — che derivano dall’occupazione. Lo ribadisco con forza: la situazione del popolo pale­stinese è intollerabile. L’America non volterà le spalle davanti alle le­gittime aspirazioni dei palestinesi di vivere dignitosamente in uno Stato proprio. L’unica soluzione è quella di far convergere le aspira­zioni di entrambi i popoli con la creazione di due Stati, in cui israe­liani e palestinesi vivranno in pace e sicurezza.(...) La terza causa di tensione è il no­stro comune interesse per i diritti e le responsabilità delle nazioni per quel che riguarda gli armamen­ti nucleari, che tante divergenze ha sollevato tra gli Stati Uniti e la Re­pubblica islamica dell’Iran. Tutti i Paesi - anche l’Iran - hanno il dirit­to di accedere all’energia nucleare a scopo pacifico, se accettano le proprie responsabilità sotto il trat­tato di Non proliferazione nucleare.
Il quarto argomento che intendo affrontare riguarda la democrazia. Negli ultimi anni, non poche controversie hanno circondato il concet­to di diffusione della democrazia, specie a pro­posito della guerra in Iraq. In questa sede per­tanto vorrei ribadire che nessuna nazione può permettersi di imporre a un’altra un qualsivo­glia sistema di governo. L’America è pronta ad ascoltare tutte le voci pacifiche e rispettose del­la legalità che vogliono farsi sentire nel mon­do, anche se siamo in disaccordo. E noi acco­gliamo tutti i governi pacifici ed eletti dal po­polo, purché siano rispettosi dei loro cittadini. Il quinto tema da affrontare insieme è la li­berà di religione. La libertà di religione è un concetto fondamentale per garantire la convi­venza pacifica dei popoli e dovremo fare mol­ta attenzione nel tutelarla.
Il sesto argomento riguarda i diritti delle donne. Respingo quanto si sostiene talvolta in Occidente, che la donna che decide di coprirsi il capo si consideri in un certo senso inferiore. Sono fermamente convinto, invece, che nega­re l’istruzione alle donne significa negar loro il diritto all’uguaglianza. Non è una coincidenza che i Paesi dove le donne godono di elevati li­velli di istruzione hanno maggiori possibilità di sviluppo. (..) Questo è il mondo che voglia­mo, ma potremo realizzarlo soltanto con l’im­pegno di tutti. Sta a noi decidere, ma solo se avremo il coraggio di impostare un nuovo ini­zio, tenendo a mente le Scritture. Dice il Corano: «Umanità, ti abbiamo creato maschio e femmina e moltiplicato in nazioni e tribù per farvi conoscere». Dice il Talmud: «La Torah intera ha lo scopo di promuovere la pa­ce ». Dice la Bibbia: «Beati i costruttori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio». I popoli del mondo sanno vivere assieme pacificamen­te. Sappiamo che è questa la volontà di Dio. E questo sarà il nostro compito sulla Terra. Gra­zie, e che la pace del Signore sia con voi.
Barak Obama
(traduzione di Rita Baldassarre)
05 giugno 2009

sb

Nessun commento: