ANCHE L'OVVIO E' IN BILICO (CARLOS)

martedì 22 settembre 2009

La morte di Sanaa

La morte di Sanaa non può essere inutile. Su questa morte tutti noi dobbiamo interrogarci e trarre una lezione.
Credo che tutti noi, italiani ed immigrati, dobbiamo essere disponibili a cambiare la nostra vita.
Quando si viene in Italia tutto cambia. Mille sensazioni ed esperienze nuove si presentano davanti alle persone che arrivano piene di speranza, ma l’Italia è un paese molto differente da quelli d’origine degli immigrati.
Da quando si mette piede in Italia nulla può essere più come prima e non si può vivere in Italia come se fossimo in Marocco, in Bangladesh, in Ghana, in Macedonia o in altri paesi.
I nostri figli vanno a scuola insieme, lavorano assieme, si parlano, si frequentano.
È inevitabile che fra di loro nascano relazioni. Per gli uomini e le donne di fede questo mescolarsi è una manifestazione della volontà di Dio. Per altri un fatto inevitabile, naturale.
La pretesa di far vivere la famiglia isolata o, al massimo, in relazione solo con altre famiglie di connazionali, è fuori dalla realtà, non ha senso, si scontra con la realtà. E genera violenza, perché i giovani figli degli immigrati non accettano di vivere da estranei coi loro coetanei. Nasce da qui la violenza, soprattutto contro le ragazze, che sono la parte più debole e nel contempo i soggetti in cui la spinta al cambiamento agisce in modo più forte, perché cambiare significa soprattutto generare nuovi esseri umani e questo è un compito che spetta alle giovani donne. È stato così per Hina a Brescia, così per Sanaa a Pordenone.
Quando davanti a noi si presentano le difficoltà a capire l’Italia ed il suo modo di vivere, noi tutti, immigrati ed italiani, dobbiamo aprirci, dobbiamo parlare ed incontrarci per discutere di queste differenze e delle diversità. Non esistono luoghi separati nei quali evitare il dialogo e coltivare la differenza e promuoverla: le case dei marocchini o dei macedoni in Italia non potranno mai essere pezzi di Marocco o Macedonia in Italia. Lo stesso Centro culturale islamico di Pordenone è un pezzo d’Italia, nel quale gli islamici debbono imparare a diventare buoni italiani senza rinunciare ad essere islamici e nel quale noi italiani possiamo imparare a conoscere l’Islam. Ovviamente il ricordo delle origini e la nostalgia del vostro paese lontano sono sentimenti necessari e che ci saranno sempre. Noi friulani conosciamo bene questi sentimenti.
Ma cosa significa aprirci? E con chi debbono parlare gli immigrati, soprattutto quando vivono una condizione di difficoltà, com’è successo alla famiglia di Sanaa?
Molti lo fanno già, con le assistenti sociali dei loro comuni. Molti lo fanno con l’Imam ed i suoi collaboratori. Altri coi compagni di lavoro, altri coi vicini di casa. Quel che chiedo a tutti è di aiutare quelle famiglie che sono più in difficoltà ad aprirsi e dialogare, come evidentemente è successo al padre ed alla madre di Sanaa.
Le assistenti sociali del Comune di Pordenone hanno da sempre un buon rapporto con l’Imam ed i suoi collaboratori. Grazie a questo buon rapporto abbiamo affrontato molte situazioni difficili e calmato molte tensioni, aiutando molti a vivere progressivamente in Italia da italiani, senza perdere alcuni principi fondamentali, come l’amore ed il rispetto per la famiglia, ma assumendone anche di nuovi, com’è per alcuni la parità di diritti e condizioni fra uomini e donne.
L’apertura al dialogo e la messa in campo di efficaci mediazioni, è un indirizzo necessario anche alle istituzioni italiane. Se ad esempio i Carabinieri ricevono la segnalazione che un padre minaccia la figlia perchè si è messa con un italiano, allora debbono sapere che si possono rivolgere alle autorità religiose della comunità di appartenenza e quali siano quelle autorità. Parlo di autorità religiose, perché ci sono altre Sanaa, figlie di famiglie cristiane dell’Africa equatoriale ed è indispensabile conoscere i pastori delle comunità evangeliche.
I sentimenti dei ragazzi si muovono molto più rapidamente della nostra capacità di costruire strumenti di mediazione. Mi ha colpito molto che, durante i funerali di Sanaa, quando l’Imam ha detto a Massimo, il fidanzato di Sanaa, che se si fosse rivolto a lui avrebbe potuto cercare un dialogo con la famiglia di lei, il ragazzo italiano abbia detto che gli pareva una buona idea, ma che non sapeva nemmeno che un Imam, a Pordenone, ci fosse. Evidentemente la stessa famiglia di Sanaa era tanto chiusa all’esterno da non far venire in mente nemmeno a Sanaa di ricorrere ad una mediazione.
L’amore che legava Sanaa e Massimo è la grande forza creativa, la parte migliore degli umani. Con l’amore noi costruiamo, con l’odio distruggiamo. Il più grande dei poeti italiani, più di settecento anni fa, ha scritto un verso magnifico: “Amor che move il sole e l’altre stelle”. Dante ci dice che l’amore muove tutte le cose del mondo.
Dio chiese ad Abramo, per misurarne la fedeltà, di sacrificargli il primogenito, Isacco. Ma nel momento in cui, affranto dal dolore, stava per farlo, glielo impedì. Qual è il significato profondo di questa storia? Io credo che Dio ci dica che la vita dei nostri figli è sacra. Anche per questo a questi figli dobbiamo dare fiducia. Essi ci ascoltano, ma soprattutto ci guardano e giudicano, capiscono se c’è coerenza fra le cose che diciamo e la vita che conduciamo. I figli si allontanano da noi, debbono farlo. Ma, se siamo stati buone madri e buoni padri, poi ritornano. Dobbiamo dar fiducia ai nostri figli, loro edificheranno un mondo molto migliore di questo nostro, pieno di violenza.
È questo il messaggio che ci lascia la storia di Massimo e Sanaa. Alla fine di tutto, resterà solo il ricordo del loro amore.

Giovanni Zanolin
Assessore alle Politiche sociali
del Comune di Pordenone


1 commento:

Il Principe (Rino) ha detto...

Penso che queste righe scritte dal nostro Assessore Giovanni Zanolin meritino una lettura attenta, profonda, che non scivoli via come un qualsiasi programma tv ma che ci scuota, ci metta in discussione, quella stessa discussione che ci rafforza e ci dia il coraggio di comprendere e vivere le diversità come risorse.
Per il caso specifico non serve aggiungere nulla se non l'auspicio che non tutto cada nel dimenticatoio come un qualsiasi caso di cronaca nera, capitato questa volta nella nostra Pordenone, non dimenticare i dieci, cento, mille Massimo e Sanna che si amano nonostante le paure, nonostante l'incomprensione perchè è davvero in loro che è riposto il nostro e il futuro di tutti i figli.