Ieri l'inserto culturale de Il Sole 24 Ore ha pubblicato questo interessante articolo di Tullio Avoledo, scrittore pordenonese.(s.b.) Lettera dalla città di P.
Il mio Nordest, terra stranieraUno scrittore friulano racconta la sua giornata nel pronto soccorso di un centro industriale della regione: specchio di una società dove gli anziani e la piccola borghesia si sentono impoveriti e minacciati dagli immigrati
di Tullio Avoledo
Scrivo questa lettera da un posto che è ancora Italia ma che forse già non lo è più. Da quello che sembra in procinto di diventare, o forse già si sente, un altro Paese. Scrivo dalla città di P. (non uso il nome completo per pudore, o per un ostinato atto d'amore), in questo strano aprile che non sa trasformarsi in primavera. Scrivo con la sinistra, in una sala d'attesa del pronto soccorso all'ospedale. La destra è fasciata. Macchie di sangue filtrano attraverso le bende. Mi sono chiuso le dita nella portiera dell'auto, un'ora fa, e da un'ora attendo che un medico trovi il tempo di occuparsi di me. Deve avere pazienza, ha detto l'infermiera. Così ho slacciato la cravatta e mi sono seduto in questa strana stanza fatta a cuneo, con un distributore d'acqua vuoto e i poster che spiegano in tante lingue come funziona il servizio di pronto soccorso. Sopra ogni lingua c'è la bandierina di un Paese. Scopro così che il romeno è facile, e che anche alcune frasi in albanese sono meno ostiche di quanto mi sarei aspettato. Ho letto i cartelli per un quarto d'ora. Poi ho tirato fuori di tasca carta e penna e ho cominciato a scrivere questa lettera.
Ogni mattina, venendo al lavoro, mi colpisce la quantità di gente che si muove verso quest'ospedale, come in un pellegrinaggio a un santuario. È una folla dolente, fatta in gran parte di vecchi. Gente lenta, piegata, vestita di scuro; d'inverno sembra di vedere una foto in bianco e nero. La città che pareva nuova quando avevo vent'anni, la città cresciuta negli anni del boom, oggi è vetusta, imbruttita. I condomini del centro sono abitati ormai quasi solo da immigrati (che in città - anche a contare solo i regolari - sono il triplo della media nazionale). I negozi chiudono e vengono sostituiti da empori cinesi o da negozi etnici dietro le cui vetrine si vende di tutto, dalle scarpe al cibo in scatola. Spuntano come funghi le agenzie di lavoro interinale.
Identità confusa. I condomini del centro di P. sono abitati ormai quasi solo da immigrati. I negozi tradizionali chiudono e vengono sostituiti da empori orientali. I ricchi vanno ad abitare fuori città, in villaggi protetti da mura e telecamere
Nel fumo nero che si alzava dalle Twin Towers qualcuno colse apparizioni soprannaturali. Ma anche nel fumo che si leva dai camini e dalle strade di P. si può leggere qualcosa. Si può leggere il futuro. E non è un bel futuro. Quest'inverno il livello massimo di polveri sottili nell'aria è stato superato praticamente ogni giorno. Le malattie polmonari e cardiache sono in aumento. P. è una città vecchia, con impianti di riscaldamento obsoleti. Le sue strade sono percorse da troppe auto che avrebbero dovuto essere rottamate da un pezzo, o da poderosi Suv che non hanno mai visto uno sterrato e che in compenso bruciano un litro di benzina ogni quattro chilometri. Un potlatch mortifero, un Moloch di metallo e idrocarburi che divora la salute dei nostri figli.
Da quando sono arrivato, un'ora fa, la sala d'attesa si è riempita. Alle tre del pomeriggio conto diciotto persone. Sono quasi tutti anziani. I più giovani siamo io e una ragazzina di colore chiusa in mezzo a due genitori bianchi, ovviamente adottivi, che la soffocano di premure
molto più del gesso in cui le hanno ingabbiato un braccio. Può darsi che i due siano più giovani di me, ma hanno un'aria stanca, vestiti dimes¬si. Ogni loro gesto affettuoso brilla come un diamante nel grigiore della stanza, ma ti chiedi se sia un diamante vero o un coccio di vetro, che brillerebbe allo stesso modo. Di fronte a me c'è un uomo sui sessant'anni in tuta da lavoro, con un piede fasciato alla meglio e avvolto in una busta di plastica del Lidi, perché fuori piove. I Lidi e gli altri hard discount sono sempre più frequentati, anche da gente che fino a qual che tempo fa li sdegnava. Le tute da operaio so no invece una visione rara, in questa città che seppure è cresciuta intorno a un'industria; che è stata, per molti aspetti, un prodotto di quell'industria, la Z. Ora la Z. è proprietà di una multi nazionale svedese, e sta sperimentando tutte le variazioni possibili dell'esternalizzazione, della delocalizzazione, dell'outsourcing.,
La città di P. è un organismo all'apparenza relativamente sano, che nasconde dentro di sé un tumore. Se dovesse passare attraverso il triage di questo pronto soccorso sarebbe clas¬sificata con un codice giallo («non c'è immi¬nente pericolo di vita, ma la situazione è grave»). Mentre io ho ricevuto un codice bianco, che mi assegna un «tempo di attesa indefinito». Se il codice fosse stato verde, il tempo d'attesa sarebbe stato di due ore. Sono tutte cose che ho scoperto dai cartelli. Come stando qui ho scoperto, mio malgrado, dove hanno passato le loro vacanze le due signore dell'alta borghesia che pur potendo accomodarsi una accanto all'altra preferiscono parlarsi da un capo all'altro della stanza, raccontandosi le meraviglie di Petra e il loro scandalo per il ritorno in auge della Lega. L'operaio dev'essere un simpatizzante di Bossi, perché sentendole comincia a inveire sottovoce contro le due anziane. La bambina nera è spaventata. Ha occhi grandi, bianchi. Nel mio nuovo romanzo non ci sono più extracomunitari, per le vie di P. So¬no stati tutti sterminati. Mi chiedo se per l'uo¬mo arrabbiato che ho davanti ciò che ho descritto sarebbe un incubo o un sogno. Il fatto è che questa città, come tutto il Nord del Paese, sta diventando intollerante alla tolleranza. E vota di conseguenza.
Coi suoi proclami di solidarietà e di convivenza multietnica, la sinistra è diventata un partito di élite. I partiti popolari sono ormai altri, altri i valori di una piccola borghesia che si sente sempre più povera, sempre più minacciata. Che comprende - quando non applaude - gli omicidi di Erba. Le villette degli anni 60 magari non vengono ridipinte, ma si spendono gli ultimi soldi della pensione per dotarle di impianti d'allarme. I ricchi non hanno di questi problemi. Vivono in condomini esclusivi o in enclave come quella progettata a 5 chilometri da qui, circondata da un muro alto due metri e mezzo e vigilata 24 ore al giorno. I ricchi non fanno la spesa all'hard discount. Non viaggiano in treni sempre più sporchi e affollati, perennemente in ritardo. I loro figli studiano in scuole private. La prima linea contro i guasti di un'immigrazione incontrollata e del declino industriale sono oggi i pensionati, gli operai. Lasciati soli con le loro paure della Cina e dei Rom, o dei Romeni, o dei Romulani, o di chiunque parli un'altra lingua o abbia un altro colore di pelle. Con l'incubo di non arriva¬re con lo stipendio o la pensione alla fine del mese. Il Nordest un tempo ricco sembra la città assediata dagli zombi dell'ultimo film di George Remerò. Che lo sia o non lo sia, non ha alcuna importanza. Questo inverno ha visto il suicidio di intere famiglie a causa dei debiti, o della perdita del lavoro. La paura fa vedere mostri anche dove non ci sono. E da queste parti, oggi, regna la paura. Il benessere c'è ancora, ed è spesso ostentato, ma appartiene a un numero sempre più esiguo di privilegiati. Un giovane industriale, qualche giorno fa, lamentandosi dell'economia regionale in crisi, mi ha descritto come un modello di riferimento, quasi come un paradiso, la vicina Slovenia.
La Slovenia...
Attendendo il mio turno per essere curato mi chiedo chi curerà questo Paese. Se c'è bisogno che il codice da giallo diventi rosso perché qualcuno si preoccupi davvero. Quattro punti sistemeranno la mia ferita. Ci vorrà di più, temo molto di più, per guarire i mali della città di P.
(Il Sole 24 Ore - 20/04/2008)