Come dice il Corano, Dio ci guarda»
«Il "sogno americano" è vivo anche per i sette milioni
di musulmani che vivono nel nostro Paese»
Sono onorato di trovarmi nell’antichissima città del Cairo, ospite di due illustri istituzioni. Da un millennio Al-Azhar rappresenta un faro di cultura islamica e da oltre un secolo l’università del Cairo è fonte e stimolo di progresso per l’intero Egitto. Insieme, queste due istituzioni incarnano un sodalizio tra sviluppo e tradizione. Vi ringrazio della vostra ospitalità, e dell’accoglienza del popolo egiziano. Sono inoltre fiero di portare con me la buona volontà del popolo americano e un saluto di pace da parte delle comunità musulmane del mio paese: Assalaamu alaykum! («Che la pace sia con voi», ndr).
Il nostro incontro avviene in un periodo di tensione tra gli Stati Uniti e i musulmani del mondo intero, una tensione generata da forze storiche che travalicano l’attuale dibattito politico. Le relazioni tra Islam e Occidente si basano su secoli di coesistenza e cooperazione, ma anche su conflitti e guerre di religione. In tempi recenti, le tensioni sono state attizzate dal colonialismo, che negava diritti legittimi e opportunità a molti musulmani, e dalla Guerra fredda, nel corso della quale i Paesi a maggioranza musulmana troppo spesso sono stati trattati come semplici pedine, senza tener conto delle loro aspirazioni. Inoltre, i cambiamenti profondi avviati dalla modernizzazione e dalla globalizzazione hanno spinto non pochi musulmani a vedere nell’Occidente un nemico delle tradizioni dell’Islam. La violenza estremista ha sfruttato queste tensioni all’interno di piccole ma potenti minoranze musulmane. Gli attacchi dell’11 settembre del 2001, e le ripetute azioni sanguinose di questi estremisti contro la popolazione civile, hanno spinto una parte del mio paese a considerare l’Islam come inesorabilmente ostile non solo all’America e ai paesi occidentali, ma anche ai diritti umani. Di qui sono scaturite nuove paure e diffidenze.
Fintanto che i nostri rapporti saranno fondati su divergenze, daremo mano libera a coloro che vogliono seminare odio, anziché pace. (...) Sono venuto qui da voi per gettare le basi di un nuovo inizio tra gli Stati Uniti e i musulmani di tutto il mondo; un nuovo rapporto fondato sul reciproco rispetto e su interessi comuni; e basato su questa verità, che l’America e l’Islam non si escludono a vicenda e non sono in competizione. Anzi, i nostri paesi hanno in comune molti principi, i principi della giustizia e del progresso, della tolleranza e della dignità di tutti gli esseri umani. Voglio affermare questa verità, pur sapendo che i cambiamenti non avvengono dall’oggi al domani(...) Occorre fare uno sforzo sostenuto per ascoltarci a vicenda; per imparare gli uni dagli altri; per rispettarci e cercare un terreno d’intesa. Come dice il Corano «Dio ti guarda, di’ sempre la verità». Sono cristiano, ma mio padre veniva da una famiglia kenyota che vanta generazioni di musulmani. Da bambino, negli anni passati in Indonesia, ascoltavo l’invocazione dell’azaan all’alba e al tramonto. Da giovane, ho lavorato nelle comunità di Chicago dove molti avevano trovato pace e dignità nella fede islamica. Lo studio della storia mi ha insegnato quanto è grande il debito della nostra civiltà verso l’Islam (...)
Ho conosciuto l’Islam in tre continenti prima di metter piede nella regione che ne è stata la culla. E l’esperienza mi dice che la collaborazione tra l’America e l’Islam dovrà essere impostata su quello che l'Islam è, non su quello che non è. Sarà mia responsabilità, quale presidente degli Stati Uniti, combattere gli stereotipi negativi dell’Islam dovunque essi si manifestino. Lo stesso principio, tuttavia, dovrà ispirare la percezione dell'America tra i musulmani. Proprio come i musulmani mal si attagliano a un vile stereotipo, l’America non incarna il vile stereotipo di un impero egoista (...) Ha fatto molto discutere il fatto che un afro-americano, di nome Barack Hussein Obama, sia stato eletto presidente. Ma la mia storia personale non è poi così eccezionale. Se il sogno americano non si è avverato per tutti in America, quella promessa esiste sempre per coloro che approdano ai nostri lidi, compresi i quasi sette milioni di musulmani americani che oggi vivono nel nostro Paese e possono vantare un reddito e un’istruzione superiori alla media. Inoltre, la libertà in America è inscindibile dalla libertà di praticare la propria fede religiosa.
Per questo motivo c’è una moschea in ogni stato della nostra Unione, per un totale di oltre 1.200 luoghi di culto musulmani. E il governo americano è arrivato fino alla Corte Suprema per proteggere i diritti di donne e ragazze che vogliono portare l’hijab, condannando coloro che vorrebbero negarlo. Infine, è venuto il momento di spazzar via ogni dubbio: l’Islam fa parte dell’America. Animato da questo spirito, desidero perciò esprimermi con semplicità e chiarezza su specifiche questioni che dovremo finalmente affrontare insieme. Il primo argomento è la violenza estremista in tutte le sue forme. Ad Ankara ho ribadito che l’America non è — e non sarà mai — in guerra con l’Islam. Siamo pronti tuttavia a combattere senza mezzi termini gli estremisti che mettono a repentaglio la nostra sicurezza. Perché anche noi respingiamo quello che tutte le religioni respingono: l’uccisione di uomini, donne e bambini innocenti. E il mio primo dovere, come Presidente, è proteggere il popolo americano.
La situazione in Afghanistan dimostra quali sono gli obiettivi dell’America e la necessità di lavorare assieme. Più di sette anni fa, gli Stati Uniti sono intervenuti contro Al Qaeda e i Talebani con un forte appoggio internazionale. Non siamo andati in Afghanistan per nostra scelta, ma per necessità. So bene che alcuni mettono in dubbio o addirittura giustificano gli eventi dell’11 settembre. Ma lo ripeto con fermezza: quel giorno Al Qaeda ha ucciso quasi tremilapersone. Nonvoglioesserefrainteso: non abbiamo alcuna intenzione di mantenere le nostre truppe in Afghanistan. Non vogliamo insediare basi militari. L’America vive nell’angoscia di veder cadere i suoi ragazzi. (...) Saremmo felicissimi di riportare a casa tutti i nostri soldati se fossimo certi che in Afghanistan e in Pakistan non ci sono più estremisti decisi a sterminare quanti più americani possibile. Ma le cose non stanno ancora così. È per questo motivo che siamo affiancati da una coalizione di 46 Paesi. E malgrado gli ingenti costi, l’impegno americano non verrà meno.
Vorrei toccare anche il tema dell’Iraq. A differenza dell’Afghanistan, la guerra in Iraq è stata una scelta che ha scatenato fortissime polemiche nel mio Paese e in tutto il mondo. Sebbene sia convinto che, tutto sommato, gli iracheni non rimpiangono affatto la tirannia di Saddam Hussein, credo tuttavia che gli eventi in Iraq abbiano fatto capire all’America che per risolvere i nostri problemi occorre rivolgersi alla diplomazia e costruire il consenso internazionale laddove possibile (...) Ho esplicitamente proibito l’uso della tortura negli Stati Uniti e ordinato la chiusura della prigione di Guantánamo nei primi mesi del prossimo anno. (...) La seconda, importante causa di tensione da discutere è la situazione tra israeliani, palestinesi e il mondo arabo. I forti legami che uniscono l’America e Israele sono ben noti. È un nodo indissolubile, fondato su vincoli storici e culturali e sulla consapevolezza che l’aspirazione a una patria ebraica affonda le radici in eventi tragici e incontestabili. Il popolo ebraico è stato perseguitato per secoli in tutto il mondo e in Europa l’antisemitismo è sfociato in un Olocausto senza precedenti.
Sei milioni di ebrei sono stati sterminati, più dell’intera popolazione di Israele ai nostri giorni. Negare questi fatti è un atto di viltà, di ignoranza e di odio. D’altro canto, è innegabile che il popolo palestinese — cristiani e musulmani — abbia sofferto a sua volta alla ricerca di una patria. Da più di sessant’anni non conosce la tutela di uno Stato. I palestinesi sono soggetti a umiliazioni quotidiane — grandi e piccole — che derivano dall’occupazione. Lo ribadisco con forza: la situazione del popolo palestinese è intollerabile. L’America non volterà le spalle davanti alle legittime aspirazioni dei palestinesi di vivere dignitosamente in uno Stato proprio. L’unica soluzione è quella di far convergere le aspirazioni di entrambi i popoli con la creazione di due Stati, in cui israeliani e palestinesi vivranno in pace e sicurezza.(...) La terza causa di tensione è il nostro comune interesse per i diritti e le responsabilità delle nazioni per quel che riguarda gli armamenti nucleari, che tante divergenze ha sollevato tra gli Stati Uniti e la Repubblica islamica dell’Iran. Tutti i Paesi - anche l’Iran - hanno il diritto di accedere all’energia nucleare a scopo pacifico, se accettano le proprie responsabilità sotto il trattato di Non proliferazione nucleare.
Il quarto argomento che intendo affrontare riguarda la democrazia. Negli ultimi anni, non poche controversie hanno circondato il concetto di diffusione della democrazia, specie a proposito della guerra in Iraq. In questa sede pertanto vorrei ribadire che nessuna nazione può permettersi di imporre a un’altra un qualsivoglia sistema di governo. L’America è pronta ad ascoltare tutte le voci pacifiche e rispettose della legalità che vogliono farsi sentire nel mondo, anche se siamo in disaccordo. E noi accogliamo tutti i governi pacifici ed eletti dal popolo, purché siano rispettosi dei loro cittadini. Il quinto tema da affrontare insieme è la liberà di religione. La libertà di religione è un concetto fondamentale per garantire la convivenza pacifica dei popoli e dovremo fare molta attenzione nel tutelarla.
Il sesto argomento riguarda i diritti delle donne. Respingo quanto si sostiene talvolta in Occidente, che la donna che decide di coprirsi il capo si consideri in un certo senso inferiore. Sono fermamente convinto, invece, che negare l’istruzione alle donne significa negar loro il diritto all’uguaglianza. Non è una coincidenza che i Paesi dove le donne godono di elevati livelli di istruzione hanno maggiori possibilità di sviluppo. (..) Questo è il mondo che vogliamo, ma potremo realizzarlo soltanto con l’impegno di tutti. Sta a noi decidere, ma solo se avremo il coraggio di impostare un nuovo inizio, tenendo a mente le Scritture. Dice il Corano: «Umanità, ti abbiamo creato maschio e femmina e moltiplicato in nazioni e tribù per farvi conoscere». Dice il Talmud: «La Torah intera ha lo scopo di promuovere la pace ». Dice la Bibbia: «Beati i costruttori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio». I popoli del mondo sanno vivere assieme pacificamente. Sappiamo che è questa la volontà di Dio. E questo sarà il nostro compito sulla Terra. Grazie, e che la pace del Signore sia con voi.
Barak ObamaIl nostro incontro avviene in un periodo di tensione tra gli Stati Uniti e i musulmani del mondo intero, una tensione generata da forze storiche che travalicano l’attuale dibattito politico. Le relazioni tra Islam e Occidente si basano su secoli di coesistenza e cooperazione, ma anche su conflitti e guerre di religione. In tempi recenti, le tensioni sono state attizzate dal colonialismo, che negava diritti legittimi e opportunità a molti musulmani, e dalla Guerra fredda, nel corso della quale i Paesi a maggioranza musulmana troppo spesso sono stati trattati come semplici pedine, senza tener conto delle loro aspirazioni. Inoltre, i cambiamenti profondi avviati dalla modernizzazione e dalla globalizzazione hanno spinto non pochi musulmani a vedere nell’Occidente un nemico delle tradizioni dell’Islam. La violenza estremista ha sfruttato queste tensioni all’interno di piccole ma potenti minoranze musulmane. Gli attacchi dell’11 settembre del 2001, e le ripetute azioni sanguinose di questi estremisti contro la popolazione civile, hanno spinto una parte del mio paese a considerare l’Islam come inesorabilmente ostile non solo all’America e ai paesi occidentali, ma anche ai diritti umani. Di qui sono scaturite nuove paure e diffidenze.
Fintanto che i nostri rapporti saranno fondati su divergenze, daremo mano libera a coloro che vogliono seminare odio, anziché pace. (...) Sono venuto qui da voi per gettare le basi di un nuovo inizio tra gli Stati Uniti e i musulmani di tutto il mondo; un nuovo rapporto fondato sul reciproco rispetto e su interessi comuni; e basato su questa verità, che l’America e l’Islam non si escludono a vicenda e non sono in competizione. Anzi, i nostri paesi hanno in comune molti principi, i principi della giustizia e del progresso, della tolleranza e della dignità di tutti gli esseri umani. Voglio affermare questa verità, pur sapendo che i cambiamenti non avvengono dall’oggi al domani(...) Occorre fare uno sforzo sostenuto per ascoltarci a vicenda; per imparare gli uni dagli altri; per rispettarci e cercare un terreno d’intesa. Come dice il Corano «Dio ti guarda, di’ sempre la verità». Sono cristiano, ma mio padre veniva da una famiglia kenyota che vanta generazioni di musulmani. Da bambino, negli anni passati in Indonesia, ascoltavo l’invocazione dell’azaan all’alba e al tramonto. Da giovane, ho lavorato nelle comunità di Chicago dove molti avevano trovato pace e dignità nella fede islamica. Lo studio della storia mi ha insegnato quanto è grande il debito della nostra civiltà verso l’Islam (...)
Ho conosciuto l’Islam in tre continenti prima di metter piede nella regione che ne è stata la culla. E l’esperienza mi dice che la collaborazione tra l’America e l’Islam dovrà essere impostata su quello che l'Islam è, non su quello che non è. Sarà mia responsabilità, quale presidente degli Stati Uniti, combattere gli stereotipi negativi dell’Islam dovunque essi si manifestino. Lo stesso principio, tuttavia, dovrà ispirare la percezione dell'America tra i musulmani. Proprio come i musulmani mal si attagliano a un vile stereotipo, l’America non incarna il vile stereotipo di un impero egoista (...) Ha fatto molto discutere il fatto che un afro-americano, di nome Barack Hussein Obama, sia stato eletto presidente. Ma la mia storia personale non è poi così eccezionale. Se il sogno americano non si è avverato per tutti in America, quella promessa esiste sempre per coloro che approdano ai nostri lidi, compresi i quasi sette milioni di musulmani americani che oggi vivono nel nostro Paese e possono vantare un reddito e un’istruzione superiori alla media. Inoltre, la libertà in America è inscindibile dalla libertà di praticare la propria fede religiosa.
Per questo motivo c’è una moschea in ogni stato della nostra Unione, per un totale di oltre 1.200 luoghi di culto musulmani. E il governo americano è arrivato fino alla Corte Suprema per proteggere i diritti di donne e ragazze che vogliono portare l’hijab, condannando coloro che vorrebbero negarlo. Infine, è venuto il momento di spazzar via ogni dubbio: l’Islam fa parte dell’America. Animato da questo spirito, desidero perciò esprimermi con semplicità e chiarezza su specifiche questioni che dovremo finalmente affrontare insieme. Il primo argomento è la violenza estremista in tutte le sue forme. Ad Ankara ho ribadito che l’America non è — e non sarà mai — in guerra con l’Islam. Siamo pronti tuttavia a combattere senza mezzi termini gli estremisti che mettono a repentaglio la nostra sicurezza. Perché anche noi respingiamo quello che tutte le religioni respingono: l’uccisione di uomini, donne e bambini innocenti. E il mio primo dovere, come Presidente, è proteggere il popolo americano.
La situazione in Afghanistan dimostra quali sono gli obiettivi dell’America e la necessità di lavorare assieme. Più di sette anni fa, gli Stati Uniti sono intervenuti contro Al Qaeda e i Talebani con un forte appoggio internazionale. Non siamo andati in Afghanistan per nostra scelta, ma per necessità. So bene che alcuni mettono in dubbio o addirittura giustificano gli eventi dell’11 settembre. Ma lo ripeto con fermezza: quel giorno Al Qaeda ha ucciso quasi tremilapersone. Nonvoglioesserefrainteso: non abbiamo alcuna intenzione di mantenere le nostre truppe in Afghanistan. Non vogliamo insediare basi militari. L’America vive nell’angoscia di veder cadere i suoi ragazzi. (...) Saremmo felicissimi di riportare a casa tutti i nostri soldati se fossimo certi che in Afghanistan e in Pakistan non ci sono più estremisti decisi a sterminare quanti più americani possibile. Ma le cose non stanno ancora così. È per questo motivo che siamo affiancati da una coalizione di 46 Paesi. E malgrado gli ingenti costi, l’impegno americano non verrà meno.
Vorrei toccare anche il tema dell’Iraq. A differenza dell’Afghanistan, la guerra in Iraq è stata una scelta che ha scatenato fortissime polemiche nel mio Paese e in tutto il mondo. Sebbene sia convinto che, tutto sommato, gli iracheni non rimpiangono affatto la tirannia di Saddam Hussein, credo tuttavia che gli eventi in Iraq abbiano fatto capire all’America che per risolvere i nostri problemi occorre rivolgersi alla diplomazia e costruire il consenso internazionale laddove possibile (...) Ho esplicitamente proibito l’uso della tortura negli Stati Uniti e ordinato la chiusura della prigione di Guantánamo nei primi mesi del prossimo anno. (...) La seconda, importante causa di tensione da discutere è la situazione tra israeliani, palestinesi e il mondo arabo. I forti legami che uniscono l’America e Israele sono ben noti. È un nodo indissolubile, fondato su vincoli storici e culturali e sulla consapevolezza che l’aspirazione a una patria ebraica affonda le radici in eventi tragici e incontestabili. Il popolo ebraico è stato perseguitato per secoli in tutto il mondo e in Europa l’antisemitismo è sfociato in un Olocausto senza precedenti.
Sei milioni di ebrei sono stati sterminati, più dell’intera popolazione di Israele ai nostri giorni. Negare questi fatti è un atto di viltà, di ignoranza e di odio. D’altro canto, è innegabile che il popolo palestinese — cristiani e musulmani — abbia sofferto a sua volta alla ricerca di una patria. Da più di sessant’anni non conosce la tutela di uno Stato. I palestinesi sono soggetti a umiliazioni quotidiane — grandi e piccole — che derivano dall’occupazione. Lo ribadisco con forza: la situazione del popolo palestinese è intollerabile. L’America non volterà le spalle davanti alle legittime aspirazioni dei palestinesi di vivere dignitosamente in uno Stato proprio. L’unica soluzione è quella di far convergere le aspirazioni di entrambi i popoli con la creazione di due Stati, in cui israeliani e palestinesi vivranno in pace e sicurezza.(...) La terza causa di tensione è il nostro comune interesse per i diritti e le responsabilità delle nazioni per quel che riguarda gli armamenti nucleari, che tante divergenze ha sollevato tra gli Stati Uniti e la Repubblica islamica dell’Iran. Tutti i Paesi - anche l’Iran - hanno il diritto di accedere all’energia nucleare a scopo pacifico, se accettano le proprie responsabilità sotto il trattato di Non proliferazione nucleare.
Il quarto argomento che intendo affrontare riguarda la democrazia. Negli ultimi anni, non poche controversie hanno circondato il concetto di diffusione della democrazia, specie a proposito della guerra in Iraq. In questa sede pertanto vorrei ribadire che nessuna nazione può permettersi di imporre a un’altra un qualsivoglia sistema di governo. L’America è pronta ad ascoltare tutte le voci pacifiche e rispettose della legalità che vogliono farsi sentire nel mondo, anche se siamo in disaccordo. E noi accogliamo tutti i governi pacifici ed eletti dal popolo, purché siano rispettosi dei loro cittadini. Il quinto tema da affrontare insieme è la liberà di religione. La libertà di religione è un concetto fondamentale per garantire la convivenza pacifica dei popoli e dovremo fare molta attenzione nel tutelarla.
Il sesto argomento riguarda i diritti delle donne. Respingo quanto si sostiene talvolta in Occidente, che la donna che decide di coprirsi il capo si consideri in un certo senso inferiore. Sono fermamente convinto, invece, che negare l’istruzione alle donne significa negar loro il diritto all’uguaglianza. Non è una coincidenza che i Paesi dove le donne godono di elevati livelli di istruzione hanno maggiori possibilità di sviluppo. (..) Questo è il mondo che vogliamo, ma potremo realizzarlo soltanto con l’impegno di tutti. Sta a noi decidere, ma solo se avremo il coraggio di impostare un nuovo inizio, tenendo a mente le Scritture. Dice il Corano: «Umanità, ti abbiamo creato maschio e femmina e moltiplicato in nazioni e tribù per farvi conoscere». Dice il Talmud: «La Torah intera ha lo scopo di promuovere la pace ». Dice la Bibbia: «Beati i costruttori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio». I popoli del mondo sanno vivere assieme pacificamente. Sappiamo che è questa la volontà di Dio. E questo sarà il nostro compito sulla Terra. Grazie, e che la pace del Signore sia con voi.
(traduzione di Rita Baldassarre)
05 giugno 2009
sb
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