Quando Pat uccise Billy
Liberamente ispirato al film "Pat Garrett e Billy Kid" di Sam Packinpah
di Alessandro Sean Penn Dorigo
PAT
Maledetto posto, Maledetto vecchio. È rimasto li a fissarmi in silenzio per ore senza dire una parola, con quella bocca storta e gli occhi da pazzo, quasi gli avessi ammazzato suo figlio. Se ne andato finalmente. Gli altri sono ancora qui. Sguardi fissi nel vuoto, senza più parole né gemiti, solo odio. Odio. Ma non fa differenza, ragazzo. Ti ho ficcato un proiettile calibro 45 dritto nel cuore, e a guardarti li disteso a terra, morto stecchito, non sei diverso da tutti gli altri cadaveri che ricoprono questo mondo di merda. Sento freddo, sono tutto intorpidito, ma non riesco ancora ad alzarmi. Penso a fatica, troppo silenzio, solo un cane che abbaia lontano e i rumori del giorno che arriva piano. La ragazza messicana ti siede accanto e ti accarezza il viso senza piangere.
Non mi muovo. Il metallo della pistola mi gela le mani ma non posso spostare un muscolo.
Non fa differenza Billy. Quando fa chiaro, lucido gli stivali, sistemo la giacca, monto sul mio cavallo e me ne torno giù in città a riscuotere il mio denaro, la mia stella e la mia vecchiaia. E sì amico, questa è la verità, tu sei morto, io sono vivo. Potevi andartene Billy, ti ho dato tutto il tempo che ho potuto. Quando sei scappato dalla prigione di Lincoln lasciando dietro a te due cadaveri ho sorriso. Ho cavalcato per il paese a cercarti senza fretta, sperando che sparissi da questa terra che non è più tua. Ora non fa differenza.
Quando tra vent’anni sarò ricco e vecchio cadente, seduto in poltrona con la pipa carica del miglior tabacco e una giovane senorita mi servirà il caffé, di questa schifosa notte non avrò ricordo.
Perché solo quello conta. Non ha importanza chi sei o cosa fai, l’importante è restare inchiodati al suolo il più a lungo e con più soldi possibile.
Ora basta, sta sorgendo il sole. Tra un momento porterà un po’ di calore a queste vecchie ossa, ma fino ad allora, credo che starò qua seduto ancora qualche minuto in silenzio, ad assaporare questo odio che mi avvolge e mi da coraggio.
BILLY
Non mi muovo. Il metallo della pistola mi gela le mani ma non posso spostare un muscolo.
Non fa differenza Billy. Quando fa chiaro, lucido gli stivali, sistemo la giacca, monto sul mio cavallo e me ne torno giù in città a riscuotere il mio denaro, la mia stella e la mia vecchiaia. E sì amico, questa è la verità, tu sei morto, io sono vivo. Potevi andartene Billy, ti ho dato tutto il tempo che ho potuto. Quando sei scappato dalla prigione di Lincoln lasciando dietro a te due cadaveri ho sorriso. Ho cavalcato per il paese a cercarti senza fretta, sperando che sparissi da questa terra che non è più tua. Ora non fa differenza.
Quando tra vent’anni sarò ricco e vecchio cadente, seduto in poltrona con la pipa carica del miglior tabacco e una giovane senorita mi servirà il caffé, di questa schifosa notte non avrò ricordo.
Perché solo quello conta. Non ha importanza chi sei o cosa fai, l’importante è restare inchiodati al suolo il più a lungo e con più soldi possibile.
Ora basta, sta sorgendo il sole. Tra un momento porterà un po’ di calore a queste vecchie ossa, ma fino ad allora, credo che starò qua seduto ancora qualche minuto in silenzio, ad assaporare questo odio che mi avvolge e mi da coraggio.
BILLY
Entriamo. La stanza è fredda. Sfrego un fiammifero sul cuoio della fondina e accendo la lampada bruciandomi leggermente le dita sul vetro. Guardo la vecchia panca, il muro scrostato, il letto scuro con sopra la coperta di lana. Sento la voce del vecchio che arriva dall’altra stanza. Racconta della notte in cui il giovane Tom mise un serpente a sonagli nel sacco di Frank perché sospettava gli avesse rubato il cavallo. Frank fu morso alla nuca e morì. Antica storia sentita molte volte, ma il vecchio e stato gentile, ci ha fatto entrare e ci ha dato il suo letto. C’è un buon odore di pane e di stufato che arriva dalla cucina e l’ipnotica litania della voce sdentata del vecchio. Chiudo la porta e la guardo. Lei, è da quando sono tornato dal Messico che non mi toglie gli occhi di dosso, sorride, mi porta il piatto più buono, l’acqua più fresca, la bottiglia migliore. Si siede sul letto e si spoglia lentamente. Abbasso lo sguardo e smetto per un attimo di respirare, è bellissima. Quando al buio si stende sopra di me non sento più le voci. Sono settimane che dentro la mia testa vuota, voci lontane mi ripetono la stessa ballata, una lenta canzone che parla di questo sgangherato paese e di come sono cambiate le cose, che devo andarmene altrimenti mi prenderanno e mi impiccheranno. Pat ci ha già provato una volta. Mi ha portato a Lincoln e ha fatto costruire una bella forca. Io sono ancora in giro e Lincoln piange due suoi emeriti cittadini. Ho provato ad andarmene, sono stato in Messico per un po’. Non fa per me il Messico, non c’è niente da fare lì, e poi odio quelle schifose tortiglias e la maledetta tequila. Buona solo per i mezzosangue.
Mi perdo tra i sui capelli sparsi sul mio torace, sento le lebbra bagnate, mi sussurra qualcosa, non capisco più nulla. Pat, forse sei fuori nella notte a fiutare il mio odore, ti sei messo il vestito da damerino per celebrare il mio funerale, Pat, il fratello venduto ai proprietari terrieri che hanno fatto di questo paese un recinto dove rinchiudere bestie, e uomini come me. Bevi un bicchiere alla mia salute, amico, io sono più vivo che mai. Si alza sopra di me, si porta le mie mani sui seni e si muove piano. Per un attimo apre gli occhi e mi sorride. Ti amo senorita. Come amo cavalcare in questa terra sterminata, come amo il ricordo di tutti i posti dove sono stato, i miei compagni di bevute e le notti attorno ad un fuoco giù, sulla riva del grande fiume Bravo. Ti amo come amo guardare la mia foto sopra la scritta “vivo o morto”, come ho amato ficcare una pallottola nel cervello a tutti quei bastardi cacciatori di taglie. Mi è piaciuto anche restituire gli spiccioli a Bob. Due cose adorava quello stronzo della sua misera vita, Gesù e la vecchia doppietta caricata a spiccioli. Non credo che Bob sieda vicino al suo Gesù adesso, ma di sicuro gli spiccioli se li tiene ben stretti.
Mi si stende accanto, i capelli le coprono il viso ma i suoi occhi brillano alla luce della lampada, non dice niente, respira piano. Mi bacia a lungo, un bacio caldo e disperato, un addio eterno, triste. Forse ha sentito qualcosa. Mi vesto al buio guardandola dormire, la testa sprofondata sul cuscino, i capelli neri, lunghi. Adios senorita, me amor.
Apro la porta, il vecchio dorme sulla sua poltrona sfasciata russando piano. Non stà mai zitto il vecchio. Esco sul portico e guardo la strada vuota. Un rumore alle spalle. Un brivido mi sale alla schiena, non è il freddo. Provo a estrarre.
I giornali hanno scritto che Pat ha sparato due colpi. Il primo proiettile mi ha spaccato il cuore e prima di sbattere a terra ero già morto. Strano, dicono che un istante prima di morire ti scorre davanti tutta la tua vita.
A me non è successo, forse la mia vita è stata troppo breve. No. L’ultima cosa che ho visto cadendo è stata lei nuda che sorrideva sopra di me, e il vecchio che svegliato dallo sparo riprendeva la sua sdentata cantilena di mandrie e cavalli.
Mi perdo tra i sui capelli sparsi sul mio torace, sento le lebbra bagnate, mi sussurra qualcosa, non capisco più nulla. Pat, forse sei fuori nella notte a fiutare il mio odore, ti sei messo il vestito da damerino per celebrare il mio funerale, Pat, il fratello venduto ai proprietari terrieri che hanno fatto di questo paese un recinto dove rinchiudere bestie, e uomini come me. Bevi un bicchiere alla mia salute, amico, io sono più vivo che mai. Si alza sopra di me, si porta le mie mani sui seni e si muove piano. Per un attimo apre gli occhi e mi sorride. Ti amo senorita. Come amo cavalcare in questa terra sterminata, come amo il ricordo di tutti i posti dove sono stato, i miei compagni di bevute e le notti attorno ad un fuoco giù, sulla riva del grande fiume Bravo. Ti amo come amo guardare la mia foto sopra la scritta “vivo o morto”, come ho amato ficcare una pallottola nel cervello a tutti quei bastardi cacciatori di taglie. Mi è piaciuto anche restituire gli spiccioli a Bob. Due cose adorava quello stronzo della sua misera vita, Gesù e la vecchia doppietta caricata a spiccioli. Non credo che Bob sieda vicino al suo Gesù adesso, ma di sicuro gli spiccioli se li tiene ben stretti.
Mi si stende accanto, i capelli le coprono il viso ma i suoi occhi brillano alla luce della lampada, non dice niente, respira piano. Mi bacia a lungo, un bacio caldo e disperato, un addio eterno, triste. Forse ha sentito qualcosa. Mi vesto al buio guardandola dormire, la testa sprofondata sul cuscino, i capelli neri, lunghi. Adios senorita, me amor.
Apro la porta, il vecchio dorme sulla sua poltrona sfasciata russando piano. Non stà mai zitto il vecchio. Esco sul portico e guardo la strada vuota. Un rumore alle spalle. Un brivido mi sale alla schiena, non è il freddo. Provo a estrarre.
I giornali hanno scritto che Pat ha sparato due colpi. Il primo proiettile mi ha spaccato il cuore e prima di sbattere a terra ero già morto. Strano, dicono che un istante prima di morire ti scorre davanti tutta la tua vita.
A me non è successo, forse la mia vita è stata troppo breve. No. L’ultima cosa che ho visto cadendo è stata lei nuda che sorrideva sopra di me, e il vecchio che svegliato dallo sparo riprendeva la sua sdentata cantilena di mandrie e cavalli.
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